Sarei tentato dall’esprimere il mio pensiero, in maniera sintetica e scurrile, affidandolo ad una locuzione molto cara al direttore del TG4, Emilio Fede, ma preferisco evitare perché, lasciarsi andare a certe tentazioni, potrebbe svilire il valore e l’importanza dei fatti. Malgrado gli innumerevoli: «ma chi se ne frega della casa di Montecarlo!», dichiarati a destra e a manca per ignoranza o bieco opportunismo, ci sono tutti gli elementi per poter pensare che l’appartamento, in Boulevard Princesse Charlotte n. 14, possa essere la punta emersa di un iceberg. Personalmente, senza fare dietrologia e rimanendo ancorato ai fatti, ritengo che tutta questa storia sia orfana delle dovute “pezze d’appoggio” e cioè di tutti quegli “atti” che giustifichino, in maniera inequivocabile, il perché di una scelta, a dir poco, discutibile. Un modus operandi apparentemente da sprovveduto, ma che invece dimostra come certe operazioni sono, da sempre, la strada maestra di chi si crede più furbo. Nel caso specifico sono stati commessi errori grossolani e tipici di chi pensa che il proprio “ruolo” lo renda inattaccabile, se non addirittura “invincibile”. Visioni di chi perde il contatto con la realtà proiettandosi nell’ultraterreno. C’è un detto che recita: «Dimmi con chi vai e ti dirò chi sei». Sembrerebbe che, chi ha agito, sia stato spinto da un desiderio incontrollato di emulazione, il discepolo che supera il maestro. Il ventaglio di ipotesi è vasto e variegato, come potrebbe darsi che sia solo un “uomo” che ha smarrito la propria identità ed è in balia di qualcosa o di qualcuno. In ogni caso non può assolutamente ricoprire il ruolo istituzionale che occupa, sarebbe un controsenso continuare a svolgere una funzione così importante dopo le ammissioni fatte in video. Questa è una storia che viene da lontano, forse, dal secolo XIX (leggasi decimonono).
domenica 26 settembre 2010
venerdì 24 settembre 2010
Storia di un divorzio mai annunciato
E’ preferibile un’acqua di Colonia ad un Profumo troppo “forte”, così potremmo riassumere quanto sembrerebbe sia successo, alla Unicredit, in questi ultimi giorni. Un fulmine a ciel sereno. Adesso tutti a chiedersi: «Perché l’amministratore delegato della più grande banca italiana, seconda in Europa, viene “sollevato” dal suo incarico?» Una cosa è certa: è stato mandato via! La riprova è la sua sostanziosa buonuscita che, ampiamente prevista contrattualmente, non percepirebbe se si fosse dimesso. Quindi nulla di scandaloso, ma tutto secondo logiche tipiche di un certo “mondo”. Alla luce anche di quanto è successo negli U.S.A., mi chiedo: quali sono i criteri per stilare la classifica dei banchieri più “meritevoli”? Non ho una risposta, ma la fantasia mi proietta immagini, forse, scontate e legate a luoghi comuni. Certe posizioni non si ricoprono se non per volere altrui. Un lavoro comunque impegnativo, quello dell’amministratore delegato, vista la mole del colosso bancario, con la sua presenza capillare sul territorio e la capacità di “rastrellare” denaro. Questo “divorzio” lascia dei dubbi e, tra questi, si potrebbe anche ipotizzare che, forse, Alessandro Profumo non avesse più il desiderio di continuare una sfida già, ampiamente, vinta e che abbia creato, ad hoc, le condizioni per poterne “uscire”, nel migliore dei modi. Autore, interprete e regista di un addio voluto. Certo, gli “ingredienti” per poter attribuire all’uno o all’altro azionista la “cacciata” ci sono e credo che la Lega stia, da par suo, accettando di buon grado questa responsabilità che alla lunga le farà aumentare il consenso nei “suoi” territori. C’è chi ancora non ha capito che di certa pubblicità, apparentemente negativa, la Lega ne sa fare virtù. In questo momento i “cultori”, del totoscommesse, sono già a lavoro per pronosticare la futura “occupazione” di Alessandro Profumo, addirittura c’è chi lo vede alla guida del maggior partito politico di opposizione, immagino l’esclamazione di Piero Fassino: «Abbiamo una banca e adesso abbiamo anche il banchiere!»
giovedì 23 settembre 2010
L’estrema sintesi (aforisma 48)
Per assunto, amo la terra con tutto quello che c’è dentro, sopra ed intorno, ma ora mi attende un lungo lavoro di “catalogazione”. (Leonardo Bottiglieri, 23 settembre 2010)
martedì 21 settembre 2010
W Veltroni.
Oggi ci si domanda: «Come mai Walter Veltroni è ritornato, prepotentemente, sulla scena politica?» Ci lasciò con il suo slogan: «Si può fare!» Dando, negli ultimi anni, l’impressione di non essere più interessato alla politica attiva, ma di preferire una vita più “contemplativa”, invece eccolo qua! Pronto a rituffarsi nella mischia. Rigenerato o semplicemente tirato per la “giacchetta” dal suo amico Gianfranco Fini? Ho sempre creduto che il “centro” fosse un luogo dove ci si incontra con gli amici, dopo una giornata di lavoro o nei fine settimana, per trascorrere qualche ora in piacevole compagnia. «Ci vediamo stasera in centro!» La tipica frase che ognuno di noi avrà pronunciato o sentito. Invece, il “centro”, è quel luogo, per sua natura “neutro”, dove ci si riunisce per opportunismo ed è buono in ogni “stagione” della politica. C’è un aforisma che riassume, in maniera sintetica, la fase che il nostro paese sta attraversando o, se si vuole, dell’intera storia politica italiana e non solo: «Il nemico del mio nemico è mio amico». Eccolo il “trait d’union” che serve, in questo momento, alla “sinistra” per potersi trasformare in quel soggetto politico capace di riunire sotto un unico “cielo” le anime diverse e buone della politica italiana. Walter Veltroni è il principe, colui che in “silenzio” ha aspettato, “seduto”, sulla sponda del fiume. Non si può dire che abbia tramato, ma non mi meraviglierei se, davanti ad una bevanda, si sia lasciato andare a pensieri di rivincita, non tanto nei confronti del suo “nemico”, ma quanto dei suoi “amici” di partito. Walter Veltroni e Gianfranco Fini, il gatto e la volpe della politica italiana, gli artefici della “rinascita”, coloro che, prendendo il toro per le “corna”, sferreranno l’ultimo colpo, quello mortale. Eccoci arrivati alla resa dei conti. La sinistra, intesa nella sua accezione più ampia, dopo circa 20 anni trascorsi solo a “pensare”, sul come liberarsi del più grande problema che abbia mai afflitto la nostra repubblica, è ad un passo dal realizzare il “sogno”. Poi tutto sarà più semplice. Superato, ancora una volta un ventennio, ci sarà questa tanto agognata “primavera” che ci accompagnerà nella terra promessa. Finalmente, come d’incanto, tutti i nostri problemi saranno risolti e non dovremo più preoccuparci di nulla perché tutto andrà bene, ma la cosa più sorprendente è che, ancora una volta, ogni “nostro desiderio” sarà esaudito.
mercoledì 15 settembre 2010
Perché?
Ad una mia richiesta di "amicizia" su facebook mi son visto chiedere: «perché?»
Ho risposto: Perché ho chiesto la Sua amicizia? Perchè su 1600 "amici" ne conosco di persona solo 4 e non li frequento, ma in questo modo ho la possibilità di guardare, da innumerevoli punti di vista, ciò che mi circonda ed imparo a conoscermi meglio.
La mia risposta ha ricevuto un laconico: «bene».
L’estrema sintesi (aforisma 47)
L’aguzzino teme, della sua vittima, più di ogni altra cosa, la consapevolezza. (Leonardo Bottiglieri, 15 settembre 2010)
L’estrema sintesi (aforisma 46)
Quando il nulla si illumina c’è qualcosa che non va “nell’impianto elettrico”. (Leonardo Bottiglieri, 15 settembre 2010)
L’estrema sintesi (aforisma 45)
E’ più nobile non servire che essere legati ad un rapporto di servitù. (Leonardo Bottiglieri, 09 settembre 2010)
sabato 4 settembre 2010
The nutshell (aphorism 44)
The magnificence of the "creation" is equal to its fragility. (Leonardo Bottiglieri, 04 September 2010)
L'estrema sintesi (aforisma 44)
La magnificenza del “creato” è pari alla sua fragilità. (Leonardo Bottiglieri, 04 settembre 2010)
The nutshell (aphorism 43)
The words of a fool is characterized by a pronounced swagger and the typical "form" boomerang. (Leonardo Bottiglieri, 04 September 2010)
L'estrema sintesi (aforisma 43)
La frase dello stolto si contraddistingue per una marcata spavalderia e per la tipica "forma" a boomerang. (Leonardo Bottiglieri, 04 settembre 2010)
venerdì 3 settembre 2010
Dove si incrociano le “lame”
Al via la IV edizione di “X factor”, sempre più costola dell’isolano reality, anch’esso, targato Rai2. Come era prevedibile non mancano gli spunti per poterne, a torto o ragione, parlare. E’ scontato che i protagonisti non sono gli aspiranti “artisti”, portatori sani dell’X factor, ma i quattro famosi giudici che fin dalle prime battute fanno capire quale “aria” si respirerà. Subito la sig.ra Tatangelo risponde con un affondo, di fioretto, all’entrata a gamba tesa della sig.ra D’Abbraccio, nell’occasione “vestitasi” dei panni di produttore. Una reazione, quella della sig.ra Tatangelo, che denota una certa premeditazione e questo non perché la scena fosse prevista dal copione, ma per la reazione così immediata. La frase pronunciata è sembrata essere lì, sulla punta della lingua, pronta a “colpire” chiunque le fosse capitato a tiro. Una difesa giusta a fronte di un giudizio gratuito ed insensato. Era ed è scontato che, tra i “quattro”, la Tatangelo sia la più esposta ad un certo tipo di “tiro al bersaglio”, ma il suo aforisma è stato “troppo” visto il personaggio a cui era diretto. E’ stato quasi come sparare sulla Croce Rossa. Avrei preferito che l’avesse ammonita dicendole di non oltrepassare i limiti, ma senza tentare di annientare un donna con un’immagine di una “trasparenza” cristallina.
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