domenica 21 giugno 2009

3M

Ho raccolto la “testimonianza” di una donna che ho conosciuto circa tre anni fa e che ogni qualvolta la incontravo, oltre ai convenevoli saluti, aggiungeva sempre: «Qualche volta ci sediamo a prendere qualcosa da bere e parliamo un po’». Il suo sembrava un “intercalare”, un modo per dire: “Mi farebbe piacere fare due chiacchiere”. Niente di più. Lei, come me, è meridionale ma di una provincia lontana. Volutamente non dirò il suo nome e né farò riferimento a cose, luoghi o persone che possano, anche lontanamente, ricondurre a Lei, in questo modo il racconto potrà rivelarsi un po’ “disarticolato” ed alcuni passaggi di difficile comprensione ma non posso fare altrimenti. Ho deciso di scrivere questo episodio per dare un’eco, un modestissimo contributo, al dramma quotidiano di tante persone che “vivono” il male “oscuro”.
«Dai prendiamoci qualcosa, sediamoci in quel caffè, così ti racconto una storia».
Il tono dato, alle sue parole, mi risuonò come un invito da non poter rifiutare. Non c’era, assolutamente, seduzione nella sua voce. La sua sembrava più una “preghiera”. Non riuscivo a capire il perché, in fondo l’avevo conosciuta come una brillante imprenditrice senza apparenti problemi.
Accomodatici in una saletta interna di un noto caffè partenopeo, ordinammo un’infusione di thè verde per Lei ed una granita di limone per me, faceva realisticamente caldo, ma Lei sembrava che avesse il bisogno di riscaldarsi. Aprì la sua borsa ed incominciò a “rovistarci” con quel tipico modo, che hanno le donne, nel cercare qualcosa, con la testa piegata ad angolo retto e spostando, da una parte all’altra della borsa, il contenuto fino ad estrarre un pacchetto di sigarette e l’accendino. Incominciò a fumare nervosamente, rivolgendo lo sguardo, oltre una tenda a plissè, in un punto indefinito del cielo. Io cercavo di assumere un atteggiamento disinvolto e, non so con quale risultato, questo per evitare che il mio vero stato d’animo potesse emergere e procurarle maggiore tensione, evitai anche di ammonirla sulla circostanza che in quel luogo non si poteva fumare. Non so dire quanto tempo rimanemmo in quello stato, fummo distratti dal cameriere che ci servì le ordinazioni. Lei improvvisamente mi rivolse la parola chiedendomi: «Sai di cosa tratta “il teorema delle 3 M”». Rimasi interdetto. L’unica cosa a cui pensai, nel sentire quella sigla, fu la nota multinazionale americana ma rimasi in silenzio. Non riuscivo a focalizzare. Non so perché ma avvertivo che la sua domanda racchiudesse qualcosa di “rilevante” che andava oltre l’immaginazione e non solo della mia. Mi parlava con delle pause tra una frase e l’altra come se scegliesse con cura particolare le parole.
«Siamo tanti nelle mani di pochi». «Non c’è la benché minima possibilità di sottrarsi al loro giogo». «Ho cercato di combattere ma sono dappertutto». «Mi sembra di vivere in prima persona il film: Invasion of the Body Snatchers».
Le chiesi: "Scusa, di cosa stai parlando?”
Mi guardò, sorrise ed abbassò la testa. A capo chino ripeté: «Di cosa sto parlando?» «Di cosa sto parlando?» «Di cosa sto parlando?» «Sto parlando della mafia!» «Della fottutissima mafia!» «Non di quella presente nell’immaginario collettivo ma della vera ed unica mafia, quella del potere assoluto ed incontrastato. Uno e trino».
Una domanda s’impadronì, in maniera veloce e compulsiva, della mia mente: “Perché hai deciso di parlarne con me?”
«So che tu mi puoi capire».
“Cosa sai?” Il mio tono si fece perentorio. Lei mi guardò, abbassò gli occhi e disse:
«Hanno fatto di me tutto quello che volevano». «Il male è “oscuro” solo per chi non lo “riconosce” e chi lo conosce è solo se tenta di combatterlo». «Non c’è difesa alcuna». «Il Sud non ha nessuna speranza».
Rimasi in silenzio per alcuni minuti, continuando a “gustarmi” quella granita che sembrava essere, inaspettatamente, più aspra del dovuto, non avevo voglia di aggiungere nulla a quanto aveva detto.
Poi le chiesi: “Chi ti ha parlato di me?”.
Mi fissò diritto negli occhi, senza parlare. Voleva piangere ma si trattenne.
Continuai: “Perdonami ma certi argomenti per me non sono da condividere. Non voglio essere e né apparire insensibile al dolore altrui. Sono convinto che, al di là di ogni ragionevole sforzo, non si può essere in grado di comprendere, a pieno, l’altrui sofferenza”. Ci salutammo con la promessa che ci saremmo rivisti.
Nell’allontanarmi pensai: “In fondo è una donna sola che cerca di crescere una figlia. Avrà patito e forse patirà le pene dell’inferno. Chi sa quanti prima di me avranno “ascoltato” il suo dramma? E tentato, anche, di consolarla”.
Quello che, forse, rappresento per Lei, io non riesco e non riuscirò mai a vederlo in nessuno. Non ho mai pensato al “mal comune mezzo gaudio”. La coscienza civile non nasce dalla sofferenza ma dalla consapevolezza.

venerdì 12 giugno 2009

Le "draghe" editoriali

Qualcuno si chiederà a cosa è ispirato il titolo di questo articolo. Chi “vive” internet, anche come un lavoro, si accorge, a prima vista, di cosa succede nel campo dell’informazione in rete. E’ di alcuni giorni fa un altro mio articolo dedicato all’editoria “su carta moschicida” e su come funzionano questi “prodotti” editoriali. Una rubrica televisiva, sull’emittente nazionale Italia 1, si è posta il problema di come il giornale digitale sia diventato l’alternativa all’informazione su carta stampata e quindi uno degli elementi che ne stanno determinando il lento declino. A mio avviso questo è un falso problema in quanto le maggiori testate giornalistiche nazionali pubblicano in rete i loro quotidiani fornendo un’alternativa fruibile a chi usa il computer e quindi facendosi concorrenza da soli. La rubrica in questione non ha focalizzato perfettamente le cause che possono aver determinato o determinare tale scenario nell’informazione. Una proiezione della realtà molto limitata. Questo perché internet non rappresenta assolutamente il luogo dove si fa informazione in quanto è un contenitore eterogeneo aperto a tutto e di cui è difficile “controllarne” le fonti. La maggior parte dell’editoria presente in rete, di sola origine digitale, non fa altro che “rubacchiare” a destra e a manca titoli ed articoli, anche con scaltre iniziative editoriali che attirano eventuali aspiranti “autori” che non riusciranno mai a farsi pubblicare un loro articolo ma che vedranno le loro fatiche prese come spunti o rielaborate. Da qui il titolo che vuole rappresentare un “nuovo” modo di fare “informazione”, che utilizza la rete come un mare che è “scandagliato” sistematicamente da queste “draghe” che vanno alla ricerca di tutto ciò che può essere riciclato, principalmente ricorrendo alla traduzione, o trovando spunti originali tra quello che spontaneamente alcuni blogger, particolarmente ispirati, riescono a pubblicare nei vari spazi che fortunatamente non mancano in rete. Non credo che questo modo di fare informazione possa preoccupare, più di tanto, la “carta stampata” in quanto in nessun caso può costituire una “seria” minaccia.

giovedì 11 giugno 2009

A gonfie vele

Come passare una vacanza da “sogno” sulle rotte più belle del mediterraneo, senza vincoli di tempo e spazio.

E’ il tipo di navigazione più ambita da chi ama il vento, gli spruzzi sulla faccia e l’avventura. “Oggi qui domani là”, così cantava Patty Pravo negli anni ’60, quando andare a vela era un lusso per pochi e rigorosamente su goletta, in legno di quercia, come Royono appartenuta a J.F.K. o America, la “barca” più famosa al mondo e non solo per l’omonima coppa che rappresenta. Andati in pensione quasi tutti i maestri d’ascia, l’avvento di nuovi materiali ha permesso la realizzazione di imbarcazioni dalle altissime prestazioni. Progettate e realizzate per affrontare i mari in ogni “angolo” del globo, con una strumentazione sempre più sofisticata da poter essere governate anche da un solo “uomo”. Dalla metà degli anni ’70 sono arrivate le barche italiane: Azzurra, la prima che ha fatto sognare milioni d’italiani, che ha rappresentato la passione di Gianni Agnelli per il mare ed il nome destinato a tante donne; Il Moro di Venezia di Raul Gardini, il primo a vincere la Luis Vitton Cup; Luna Rossa di Patrizio Bertelli, nessuno come lui ha investito tanto in un sogno; fino ad arrivare agli ultimi apparsi sulla scena: +39 e Mascalzone Latino, tante realtà che hanno appassionato ed appassionano un vasto pubblico, questo grazie anche alla tecnologia che ha permesso la ripresa televisiva in diretta. L’America’s Cup ha contribuito alla diffusione di uno sport che, in ogni caso, non può rappresentare il sailing yacht, di chi attraversa il mare per passione, in gita con gli amici e famiglia al seguito. La navigazione a vela è un’esperienza da provare e fortunatamente c’è la possibilità di farlo, grazie a tante società che affittano, anche per una sola settimana, barche con skipper incluso. Provare il piacere di navigare in barca a vela è una sensazione unica; se sei uno sportivo, è un modo per metterti alla prova. Riempiendo la cambusa si può navigare tranquillamente senza attraccare in nessun porto, gettare l’ancora in una caletta e rimanerci per giorni lontano dalla quotidianità. Si può andare alla ricerca di luoghi unici, discreti o particolarmente indicati per la fotografia o le immersioni. I nostri mari permettono itinerari suggestivi, da vacanze indimenticabili. Io consiglierei sempre di provare, prima di acquistare una barca a “vento”, che tipo di vita bisogna affrontare andando per mare con questo tipo di imbarcazione. La barca a vela, anche avendo un motore, non è una barca a motore, ha caratteristiche costruttive profondamente diverse, è più adatta a persone che hanno un’anima da “uomini di mare”. Il “timone”, di questa tipologia di natanti, può essere tenuto solo da chi ha conseguito la patente nautica entro ed oltre le 12 miglia. I costi per la manutenzione possono costituire il vero deterrente, rispetto al costo iniziale, per l’acquisto. Le variabili che intervengono, nella loro valutazione, sono molteplici, tra queste, c’è la mancanza di strutture dedicate alla nautica da diporto, cosa che rappresenta un vero controsenso in un paese votato al turismo e “legato” al mare, come il nostro. Questo potrebbe essere uno dei, tanti, problemi che il “rinato” Ministero del Turismo dovrebbe affrontare e risolvere con la buona pace di tutti, in modo da permettere anche alle passioni di seguire una logica.
La vela rappresenta uno stile di vita, un modo anche per distinguersi e non passare inosservati. Chi ama il mare va a vela, con un impatto ambientale quasi vicino allo zero, è un modo per contribuire alla tutela dei “nostri” mari. La riscossa della nostra economia passa anche attraverso questo “elemento” che noi abbiamo il dovere di preservare. Il velista è un “uomo” che non fa nulla per caso, mai!

lunedì 8 giugno 2009

Il silenzio

Non esiste cosa più “assordante” del silenzio. Il prof. Antonino Zichichi, trapanese di nascita, studia l’antimateria e “semplicemente”, con esempi mirati, ci aiuta a capire le sue teorie e come possono essere dimostrate, anche se parla di cose di cui i nostri sensi, in nessun caso, possono avvertirne la presenza. Al contrario c’è più di qualcuno che, scrivendo un libro, pensa di poter far credere alla “gente” che una cosa esiste solo se fa rumore. Reminiscenze manzoniane? C’è un filo conduttore che, in un certo tipo di saggistica, porta a voler dimostrare come il silenzio rende meno “intercettabili”, un tema ripreso più volte, negli ultimi anni, da alcuni “autori” che sembrano voler affermare il concetto ad ogni costo, come se avessero paura che si possa creare nelle “coscienze” una percezione diametralmente opposta, sembrerebbe che ci sia una volontà che tende a voler dimostrare che nulla di più di quanto è fatto sia possibile fare di fronte ad un nemico che si rende “silenzioso”, come se il termine fosse sinonimo d’invisibile. L’enfatizzazione del nulla! Quello che questi “autori” continuano a chiamare “silenzio” non è altro che un modo di uniformarsi a quello che viene indicato come il comune senso del vivere “civile”. Una percezione distorta della legalità, i reati esistono solo se fanno rumore.

domenica 7 giugno 2009

Il monosillabo

Ho navigato e conosciuto il mare, ho visitato tanti luoghi e conosciuto persone ed ho potuto rilevare che l’elemento che contraddistingue gli esseri “umani” è la propensione ad aggregarsi in gruppi, più o meno omogenei, all’interno dei quali spiccano “personalità” che potrebbero definirsi, quantomeno, inquietanti. Il modo per poter prevalere, sul resto della “comunità”, è quello di circondarsi d’adepti ed assumere la configurazione del branco. E’ tipico il loro modo di agire e se avvertono un pericolo si fanno scudo di persone inermi. Sono pericolosissimi ed hanno una capacità mimetica da poter essere definiti dei veri camaleonti. Si esprimono a gesti, sguardi e monosillabi, a volte usano anche le immagini. Il “pizzino”, per loro, è altissima tecnologia. Usano internet per comunicare a distanza, come il tam tam ancora in uso presso le popolazioni aborigene presenti nel continente australiano, a cui chiedo scusa per il paragone. Facendo un rapido calcolo e tenendo conto dell’età media credo che si estingueranno nei prossimi 20, massimo, 30 anni salvo un provvidenziale intervento divino. Ho imparato, purtroppo a mie spese, a riconoscerli e questo grazie anche al fatto che emanano un “odore” inconfondibile. Non hanno faccia, il loro volto lo si potrebbe definire in molteplici modi ma credo che la “natura” li abbia già puniti abbastanza. Non bisogna assolutamente abbassare la guardia, sono infingardi, vigliacchi e fanno della menzogna e la diffamazione i loro punti di forza. Io confido molto nel “tempo galantuomo” e credo che prima o poi tutti debbano rispondere e pagare per i propri delitti.

venerdì 5 giugno 2009

Quanto conta la cittadinanza?

Essere nato nel continente americano fa, di un uomo, un futuro manager di successo? A prima vista sembrerebbe di si. Scorrendo la classifica dei manager, più pagati al mondo, nei primi 10 posti si trovano solo nati nel “nuovo continente”. Una questione genetica o un “modus vivendi”? Io propenderei più per la seconda ipotesi, lo stile di vita conta più di ogni altra cosa nell’economia “born in the U.S.A.”. Bisogna essere cresciuti in quei luoghi per poter “cogliere” il famoso “senso” degli affari, una “forma mentis” che si può sviluppare solo vivendo giorno per giorno in quella realtà fatta di regole ferree e dove la duttilità, nel prendere decisioni, è accompagnata da una velocità impressionante. La rapidità decisionale è un elemento che contraddistingue la realtà del business d’oltre oceano ed è dovuta, anche, alla blanda presenza di fattori etico-sociali che possono determinare le scelte. “The business is business!” Nella vecchia Europa, sembrerebbe, che le cose vadano in maniera diversa, il management è abituato a ritmi diversi con un background culturale, religioso e sociale che lo porta ad essere, forse, più riflessivo ed attento a tutto quanto lo circonda. Un’economia radicata al territorio ed alla realtà, questo è lo scenario in cui si trova ad operare il manager europeo e, forse, uno dei motivi che hanno “protetto” il vecchio continente dai venti, di crisi profonda, provenienti dall’America. Sembrerebbe, il condizionale è d’obbligo, che i mercati finanziari e non solo abbiano avuto, sostenuti da provvedimenti mirati, una reazione, malgrado tutto, positiva che ha permesso di contenere i danni. Un’autonomia che ha dimostrato una forte unità di intenti da parte degli stati membri della Comunità Europea e che dimostra come nei momenti “critici” si sappiano trovare le “soluzioni” idonee. Non è solo una speranza ma ritengo che l’economia dell'occidente europeo sia più forte di quanto sembri e questo grazie anche ad un modo più “spartano” di intendere l’economia.

giovedì 4 giugno 2009

"pe' na máneca 'e fetiente"

Avrei preferito non commentare, un episodio che sarebbe potuto passare come l'atto di "uomini" senza pietade. Episodi simili sono accaduti anche in altri luoghi, dove le tombe profanate dei "famosi" hanno dato luogo a reazioni composte, niente più di un giusto e rimarchevole sdegno. Invece no! Ancora una volta un "terremoto" si è abbattuto, su una città, dove anche respirare diventa difficile. Una magnitudo con un'eco sorprendente. Parole sferzanti, espresse in maniera gratuita che non possono essere giustificate, termini inaccettabili che devono essere rispediti al mittente. La cosa che più colpisce è la facilità con cui si può infierire su un popolo, su una città, senza ricevere nessuna reazione. Ogni occasione è buona per "sparare a zero" e questo mi fa pensare che a qualcuno, tutto ciò, "fa gioco". Un prezzo altissimo che Napoli paga quotidianamente. Siano chiusi! gli accessi a quei luoghi che sembrano ormai aver perso anche quella, dovuta, sacralità. Non sarà certo un lucchetto che impedirà ad una città di continuare a pensare e ad amare un suo figlio.

mercoledì 3 giugno 2009

"Di viole e liquirizia"

Il romanzo che, forse, più degli altri “scritti” ha contribuito a renderlo maggiormente “famoso”, un invito a conoscere, in modo semplice e composto, i luoghi, i gusti ed i profumi del tipico paesaggio collinare, le langhe “pettinate” a viti, del natio Piemonte. Nico Orengo era nato a Torino “guardando” al mare della vicina Liguria, scrittore ispirato e giornalista della Stampa ci ha lasciati, all’età di 65 anni, il 30 maggio scorso. Delle varie opere pubblicate, ricordo con "affetto", le filastrocche per bambini.

lunedì 1 giugno 2009

Traffico di trafficanti

Il traffico, una delle cose più odiose della nostra epoca. Il traffico pedonale, stradale, ferroviario, navale, aereo, tutti rigorosamente “regolamentati”, che si cerca di limitare per la ricaduta che, il loro "sviluppo", ha sull’ambiente. A quanti di noi è capitato di rimanere "imbottigliato" nel traffico? Chi più e chi meno conosce di cosa sto parlando. Una sensazione d’impotenza alla quale, a volte si reagisce, con il forte desiderio di abbandonare il "mezzo" e dileguarsi velocemente, allontanandosi, il più possibile, da quella "cappa di gas di scarico" che, impercettibilmente, copre tutto. Quelle attese, interminabili, a volte durate anche giorni interi ad aspettare il primo volo utile per raggiungere la meta agognata o in fila agli imbarchi marittimi sotto il sole d'estate. Alle fermate degli autobus o della metropolitana, durante le ore di punta, mentre cerchi di ripararti dalla pioggia e scansare le "stecche" degli ombrelli, a volte, usate dai passanti come degli "sfollagente". Quella sensazione di leggerezza che ti "prende" quando tenti di salire sui mezzi di trasporto, trascinato dal “fiume” di persone. La promiscuità nel restare, a volte per ore, "inscatolato" come una sardina insieme a centinaia di individui, che neanche conosci, senza poter muovere "almeno" un dito. Stare attento al portafogli, a non avvicinarti alle signore, sempre pronte a guardarti come se fossi un potenziale "maniaco", a scansare lo starnuto di qualcuno. Quante ore, delle nostre giornate, siamo costretti a dedicare a tutto questo? Un solo minuto è troppo! Non possiamo farci nulla. Questo è il tipo di vita media che, tanti di noi, sono costretti ad accettare e sopportare ma tutto ciò svanisce, d'incanto, quando siamo in "rete". Il traffico d’internet è un'altra cosa; è "benedetto". Qui sei comodamente seduto, in casa tua e "lontano" da tutto e da tutti. Si è talmente rapiti che sì "naviga" come se si andasse alla scoperta di un mondo "fantastico", fatto di colori sfavillanti, d’immagini fantastiche, dove tutto sembra a portata di "mouse", si riescono a trovare cose che nemmeno si immaginava esistessero. Il paese dei balocchi! Qui il tempo non esiste. Le percezioni sono talmente "deboli" che se si facesse il test alcolemico si rischierebbe di essere “arrestati”. Internet sembra andare incontro a qualsiasi esigenza reale o indotta. La panacea per tutti i “mali”. Il principio è semplice, basta offrire di tutto e di più, tanto il “credulone” di turno si trova. Sempre!